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cane, cane

al di là della didascalia

Quello che spesso vedo è una fotografia autoreferenziale, realizzata dall'autore al solo fine di soddisfare le attese di chi la guarderà. Un po' come la pizza all'ananas: il turista è abituato a mangiarla nella pizzeria sotto casa, spacciata come un prodotto tipico italiano. In vacanza a Venezia si attendono il prodotto tipico che ben conoscono e i ristoranti attorno a San Marco la offrono perché richiesta. Così si genera un corto circuito della comunicazione: io ritrovo ciò che mi aspetto poiché mi viene offerto ciò che è richiesto. Esattamente quello che vedo nella fotografia; vai a San Gimignano, guarda i negozi sotto le torri e troverai immagini della val d'Orcia tanto ritoccate da essere irreali. Sembra d'obbligo uscire da questo corto circuito tornando al fine espressivo della fotografia, riscoprire il valore comunicativo dell'immagine attraverso un monologo intimo tra autore e spettatore. Non basta fotografare -è troppo semplice con i mille mezzi resi disponibili dalla tecnologia- bisogna avere qualcosa da dire, concetti e argomenti composti dalle singole immagini quali paragrafi, osando, arrivando ad affermare che la realtà è ininfluente, scomposta in frammenti che divengono strumenti e paragrafi di un discorso. La comunicazione viaggia su un vettore tra sorgente e ricevente ed è bene che rimangano sconosciuti tra loro.

201.cont 1.3 Kb rev. 2024.12.19 18:02:31