foto ricordo
in fondo è sempre un solitario
Questa me l'ha scattata Carlo quattro anni fa sulla spiaggia di Buggerru. No, forse erano due; si proprio due anni fa, prima dell'università di Matteo. Poco dopo si alzò il vento e tornammo in albergo di corsa. Io avevo quei pantaloni di cotone leggero e lui indossava la maglietta verde. Non va bene, troppo distante.
Quest'altra è a casa di Luisa e Giovanni, solo a lui può piacere un divano simile. Era per il cenone di Natale e arrivò anche sua sorella da Minneapolis; questa non mi piace, non vuol dire nulla. Qui sono orribile, ma perché si ostina a fotografarmi così da vicino? Gli orecchini! è vero, li avevo dimenticati, me li aveva regalati per il compleanno, quando passammo il fine settimana a Roma; quanto li ho usati. Chissà dove li ho persi.
Mi sembro la nonna: quando aveva finito di sistemare la cucina, si sedeva al tavolo, quello con il piano in marmo, apriva il cassetto nascosto e tirava fuori il suo mazzo di carte piacentine. Lei già aveva i suoi anni ma la scatola mi sembrava antichissima, i bordi lisi e scuri, le carte tutte incurvate per la lunghezza, al tatto lisce per l'uso e quell'odore, misto di stantio e pietanze del giorno. Sul tavolo sgombro poggiava la scatola alla sua sinistra, la tazzina con il caffè fumante a destra. Non riuscivo a vederla mai quando lo metteva, ma sapevo che dentro c'era un cucchiaino raso di zucchero: né più, né meno. Dopo il primo sorso iniziava a mischiare e disponeva le carte al centro del tavolo per il suo solitario. Non esagerava mai, si limitava a due mani poi le riponeva, sciacquava tazzina e cucchiaino, e si ritirava in camera sua. Nel novembre del '74 smise improvvisamente di giocare; mia madre partì per sbrigare le inevitabili incombenze e io rimasi con quel fotogramma casalingo in testa.
Questa è una Polaroid, siamo alle Cinque Terre. Faceva un freddo che non mi bastava il cappotto. Chi è che aveva una Polaroid, noi avevamo quella tascabile con il rullino che si inceppava sempre. Forse suo fratello, anzi no, è vero! Ce l'aveva prestata il padrone dell'albergo, perché avevamo dimenticato la nostra. Giulia sta sorridendo senza un dente, quanto era piccola! e Matteo è già un ometto. Comunque la escluderei, troppa felicità. La fototessera è avanzata da quelle del rinnovo della patente; poi che capelli avevo. Anonima e insulsa, via.
Mia madre non giocava a carte, non faceva nemmeno un solitario. Tornava semplicemente dal lavoro e preparava la cena. Il nostro tempo era quello della cottura: venti minuti, forse trenta, durante i quali le raccontavo cosa avevo fatto a scuola, i compiti svolti e quelli che non riuscivo a fare. Lavorava in un ufficio e il mio sogno era di lavorare come lei, magari nello stesso ufficio. La mattina si preparava lasciando la porta del bagno aperta; io rimanevo appoggiata allo stipite guardandola mentre si truccava. Un sabato, non doveva andare in ufficio e aveva più tempo, mi insegnò il segreto del cotton fioc prima del rimmel e mi sembrò di essere già una donna.
Queste due sono del 1998, in montagna. Giulia che impara a sciare e Matteo che guarda divertito. Io sorrido, questa è bella, chissà se posso farla ingrandire abbastanza. Almeno tanto da rendere solo il mio primo piano, chi la vedrà dovrà accontentarsi di questo senza avere idea di tutti quelli che c'erano. Mi mancheranno, come l'aria fredda, come i panorami, come un libro sulla spiaggia. Mi mancherà l'esserci.
Lo so che Carlo è lì, oltre il vetro della camera; non lo vedo ma so che è nel corridoio che aspetta. L'orario di visita, la forza di entrare, il coraggio di guardarmi negli occhi. Aspetta, mentre io non ho tempo. Giurerei che ha già mangiato: due tramezzini della macchinetta al piano terra; due tramezzini e un'aranciata. E caffè amaro alla fine. Lo so che vorrebbe entrare ma non voglio vedere né lui né le mie amiche, nessuno: almeno nessuno che mi abbia conosciuta prima, con tutti i miei capelli.
Ho mangiato, qualcuno ha sistemato tutto per me e ora gioco il mio solitario fatto di istantanee disposte sul piano in fòrmica. Non ho a disposizione tutto lo spazio che aveva mia nonna, giusto la larghezza del letto, e i movimenti sono limitati da due flebo e dai fili dei monitor. Ma il silenzio è lo stesso, la luce simile e posso sempre giocare finché c'è tempo. La vita ha uno strano senso dell'ironia, chi l'avrebbe mai detto, quando sorridevo all'obiettivo, che tra tutti questi scatti avrei dovuto scegliere quello definitivo. Ci pensavo l'ultima volta che sono andata al cimitero da mia madre. Tutte quelle fotografie, quei volti e le loro espressioni. Qualcuno sapeva che quello scatto sarebbe stato la loro ultima immagine? Qualcuno di loro lo ha scelto? Io lo faccio per scaramanzia, non è detto che sia proprio l'ultima. Stamattina, durante il giro, il medico mi ha detto che qualche segnale positivo c'è, ma non ha voluto dirmi quale.
foto_ricordo.cont 4.8 Kb rev. 2024.12.19 18:02:34